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ADOLESCENCE – Non ti piaccio nemmeno un po’?

    Tutti parlano di Adolescence. Tutti sembrano turbati da Adolescence. Ma perché?

    Sono Nicola Lupo di Pomerium Psicologia, e questa è “Parliamone!”, una rubrica che prova a parlare di argomenti complessi con una chiave psicologica.

    Adolescence è una storia complessa

    Guardando Adolescence si ha la sensazione di partecipare a qualcosa di epocale, che cambierà pesantemente l’opinione pubblica sull’adolescenza. La serie è filmata interamente in piano sequenza, cioè in un unico ciak senza tagli e senza montaggio, con il risultato che lo spettatore vive come se fosse DENTRO il film, attraversando in prima persona i diversi colpi di scena che si susseguono.

    La serie inizia con la perdita di innocenza di Jamie, ragazzo dal volto angelico, ma colpevole dell’omicidio di una sua coetanea di nome Katie, Ma la storia è più complessa di così, perché ci sono più vittime e più colpevoli. È disorientante scoprire che Jamie è a sua volta vittima di cyberbullismo dalla stessa Katie, che Katie era anche vittima di revenge porn da parte di un altro ragazzo e che il coltello usato per l’omicidio è stato dato a Jamie da un suo compagno che odia le donne. Adolescence è in questo senso un thriller psicologico in cui si scopre che tutti i giovani sono colpevoli di una qualche forma di violenza.

    La serie sembra cercare una risposta a questo quesito. Una lettura giornalistica molto diffusa è quella del maschilismo involontario e i modelli maschili tossici paterni. Ma cercare all’interno della famiglia non basta a trovare un colpevole unico, perché nella storia il padre di Jamie, pur avendo subito violenze, cerca in tutti i modi di non replicare. La sceneggiatura di Adolescence sembra scritta per deludere chi cerca un colpevole unico della violenza.

    Un primo tema è che gli adulti sembrano impauriti dai giovani perché non li capiscono. È interessante che nella storia sia il figlio del poliziotto a spiegargli come stanno le cose, suggerendo come senza un dialogo ci può essere solo paura e incomprensione reciproca.

    Quindi la violenza da dove arriva?

    Tutto diventa più chiaro quando nella terza puntata Jamie incontra una psicologa. Quest’ultima persegue inizialmente l’ipotesi secondo cui Jamie avrebbe un brutto rapporto con le donne per via del modello maschile proposto da suo padre. Molti giornalisti hanno commentato la serie parlando di maschilismo involontario, ma nel colloquio viene fuori tutt’altro. Jamie è convinto di essere brutto ed è terrorizzato dall’idea di non piacere alle ragazze. Per questo si sente profondamente ferito quando Katie lo etichetta come In-Cel, acronimo di involuntary celibate, che potremmo tradurre in italiano come ‘sfigato’, nel senso etimologico del termine. Ma quando Katie è stata a sua volta derisa da tutti per una sua foto in topless circolata a scuola, Jamie pensa di poterci provare con lei approfittando della sua debolezza. Mentre parla di questo Jamie vive un vero e proprio transfert verso la psicologa: inizia a chiederle ossessivamente “Io ti piaccio? Non ti piaccio nemmeno un po’? Che cosa pensi di me allora?” Jamie vuole sapere se almeno lei lo trova bello.

    Viene così fuori in modo chiaro il tema centrale della serie: Jamie ha paura di non piacere alle donne, così come più in generale molti adolescenti hanno paura di non piacere agli altri e tutto ciò è enormemente amplificato dai social network. A ben vedere tutti i personaggi di questa serie vivono in diverso modo il dramma di non piacere o di essere rifiutati dagli altri, paure che oggi sono un potentissimo organizzatore sociale. Katie, Jamie, suo padre – e tutti noi – sperimentiamo in diversi modi questa paura. Katie viene derisa a scuola per il suo seno piccolo, Jamie si sente brutto, così come il padre di Jamie vive sulla sua pelle il peso del giudizio sociale quando alcuni adolescenti marchiano il suo furgone con la scritta “nonse” per prendersi gioco della fragilità in cui versa la sua famiglia.

    Correggere i giovani non funziona

    Nel complesso questa miniserie dipinge la scuola e la società come un contesto in cui si esercita abitualmente violenza contro chi ha paura di non piacere. Vengono alla mente tutta una serie di vecchie e nuove etichette usate per offendere, così come la fantasia di dover essere perfetti a tutti i costi, ma anche il contributo che gli adulti danno a tutto questo con il dilagare del ricorso alla diagnosi delle famiglie e delle scuole.

    Adolescence arriva come una coltellata nello stomaco, perché denuncia la società dell’apparire, l’ossessione di piacere, così come evidenzia il mancato raggiungimento degli obiettivi educativi che si sono sviluppati nelle società occidentali dagli anni ‘90 ad oggi e la paura di essere per questo una generazione di genitori fallimentare.

    Come psicologi pensiamo che la risposta a questa violenza non sia imporre ai giovani ulteriori modelli correttivi, ma prendendo sul serio i vissuti di giovani e adulti, riconoscere come le emozioni organizzano la società, la scuola e la famiglia, strutturare un dialogo pubblico sulle emozioni e sulle paura, come l’ossessione di giovani e adulti di dover piacere, di cui forse è arrivato il momento di parlare pubblicamente.

    Parliamone!

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